Il tema del giorno: "Etica della professione medica, significato e riflessioni nel tempo attuale" di Fulvia Perillo

La professione medica, come qualsiasi attività intellettuale, richiede anzitutto una solida preparazione, un continuo aggiornamento e capacità tecnica. Possiamo dire che questa è l’ossatura da cui non si può prescindere, ma, per le sue peculiarità, essere medico è molto più di questo. Già lo avevano compreso i filosofi della antica Grecia, parlando della necessità di utilizzare, nella cura delle malattie, oltre alla conoscenza, la filantropia ovvero l’amore, forse meglio l’attenzione partecipata per l’essere umano e la phrònesis, cioè la saggezza e il buon senso. 

Questi principi non sono affatto superati, ma costituiscono a tutt’oggi il soffio vitale che differenzia l’esercizio della medicina da qualsiasi altra attività.  Al medico e alle strutture sanitarie afferiscono infatti persone in condizioni di minorità, dato che una malattia, accertata o sospetta, rende l’essere umano più fragile e quindi bisognoso non di una fredda diagnosi, ma di considerazione come individuo, con le sue caratteristiche, la sua storia, la sua scala valoriale. 

Tanto più necessaria è la riflessione di carattere etico quanto più complessa diventa la realtà circostante, comprese le possibilità di diagnosi e cura. 

La medicina, anche solo mezzo secolo fa, era estremamente più semplice, con meno alternative diagnostiche e terapeutiche. I ruoli, inoltre, erano chiari, l’etica paternalistica stabiliva semplicemente che il medico, detentore del sapere, decidesse le cure che riteneva opportune, senza necessariamente coinvolgere l’assistito nelle decisioni. 

La ricerca e l’applicazione delle nuove tecnologie hanno permesso di salvare molte vite e migliorarne la qualità, ma anche reso necessarie riflessioni approfondite sulle scelte e sui percorsi da seguire

Tutto questo, unito a una maggiore consapevolezza della popolazione, ha dato origine a un rapporto totalmente diverso tra medico e paziente: non più decisioni prese dall’alto, ma una vera e propria alleanza terapeutica, nel rispetto della dignità di ciascuno. Ai principi di beneficialità, non maleficità (l’ippocratico non nocere) e giustizia, si è aggiunto il principio di autonomia, alla base del quale vi sono una corretta e completa informazione da parte del medico, il consenso o meno al trattamento e il rispetto della volontà della persona in merito alle scelte che riguardano un ambito così personale e delicato. 

Alla luce di quanto detto, è evidente come una delle sfide della professione medica nel terzo millennio sia quella di evitare la deriva tecnicistica, ma bensì applicare le proprie conoscenze e competenze alla luce di un’etica umanistica che metta al centro il paziente. La qualità dell’assistenza non potrà mai essere considerata sufficiente senza l’umanizzazione delle cure l’etica della responsabilità che deve guidare il medico in ogni sua scelta.